da Apri Insieme n° 2 aprile 2013 – Ripensando alla Pasqua

Il paginone centrale di Apri Insieme è stato dedicato ad una interessante riflessione di Luciano Manicardi sul Vangelo della Pasqua (il tempo di Pasqua dura fino a Pentecoste) … BUONA MEDITAZIONE!

 

Ripensando al Vangelo di Pasqua
Il vangelo di Pasqua ha presentato l’alba del giorno della resurrezione come inizio della fede pasquale, mostrando le reazioni di tre discepoli di fronte alla tomba vuota, e presentando soprattutto la fede del discepolo amato che, viste le bende per terra ed entrato nel sepolcro vuoto, “credette” (Gv 20,8). O meglio, “cominciò a credere”. Aggiunge infatti il quarto vangelo: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura che egli doveva risuscitare dai morti” (Gv 20,9). È l’inizio della fede pasquale, che troverà la sua pienezza con il dono dello Spirito che illumina le menti aprendole all’intelligenza delle Scritture (cf. Lc 24,45).
C’è un’ignoranza della Maddalena (“non sappiamo dove l’hanno posto”: Gv 20,13) e dei discepoli (“non avevano ancora compreso”, lett.: “non sapevano ancora la Scrittura”: Gv 20,9) che accompagna il loro cammino verso l’evento della resurrezione.
Questo evento è l’inaudito, l’impensabile, lo sconcertante. È il novum che Dio crea nel mondo. I discepoli sono totalmente impreparati all’evento della resurrezione e faticano ad accedere alla rivelazione. Solo il discepolo amato, proprio per quel nascondimento del mistero di amore che lo lega a Gesù, comincia a intuire e a lasciar spazio nel proprio animo alla novità compiuta da Dio.
Nei primi testimoni accorsi alla tomba vuota emerge l’aspetto emotivo della relazione con quel Gesù che avevano riconosciuto come loro Signore e per cui avevano abbandonato tutto. Maria di Magdala resta smarrita di fronte alla pietra ribaltata dal sepolcro, e corre, come mossa dal timore che sia successo qualcosa di irrimediabile: Maria teme di non poter vedere e toccare il corpo del suo Signore, teme di aver perso ogni punto di riferimento visibile della persona cara, anche l’ultimo, quello caratterizzato da una lapide, un punto fermo inscritto nella terra, ove sia possibile raccogliere memorie e affetti. Maria corre e va subito, istintivamente, da Pietro e dal discepolo amato, i punti di riferimento del gruppo dei discepoli.
I due, a loro volta corrono, e la corsa esprime ansia, desiderio, volontà di non perdere tempo o forse timore che sia già troppo tardi, e il discepolo amato corre più veloce di Pietro. Nel momento in cui il piano emotivo viene lasciato andare a briglia sciolta ognuno esprime se stesso senza più far valere le regole del gruppo. Giunto tuttavia al sepolcro, il discepolo amato attende Pietro e lascia che lui entri per primo, rispettando il primato stabilito dal Signore. Il piano emotivo e affettivo di Maria e del discepolo amato sono ordinati dall’ordine e dall’oggettività comunitaria.
Per guidare l’emotività e l’affettività alla piena fede occorreranno l’intelligenza della Scrittura e la fede in essa, che è fondamento ineliminabile e oggettivante della fede pasquale e della vita ecclesiale.

Luciano Manicardi

da Apri Insime n° 2 aprile 2013 – editoriale

In occasione dell’assemblea soci del Gruppo (in cui abbiamo condiviso la gioia dei 50 insieme di Giulio e Deanna) è stato distribuito il nuovo numero del nostro bel giornalino. Se non eravate presenti all’assemblea il prezioso foglio vi arriverà direttamente nella buchetta della posta, intanto però vi riportiamo qui l’editoriale di Giuseppe De Carlo …

La famiglia “sotterfugi”
Nelle narrazioni bibliche che hanno come protagonisti i patriarchi c’è un furbetto: si tratta di Giacobbe. Egli è il furbo, l’astuto, l’opportunista, il disonesto. E tuttavia i testi biblici lo dipingono il protetto di Dio. Viene dunque da chiedersi se Dio possa mai proteggere i disonesti.
Giacobbe fu disonesto quando approfittò della fame da lupo del fratello maggiore Esaù, per derubargli la primogenitura. E lo fece con poca spesa: con un piatto di lenticchie. Ma Giacobbe non si accontentò di ingannare il fratello perché, sempre a spese di lui, ingannò anche il padre con uno scambio di persona nel quale fu complice anche la madre: una famiglia, quella di Giacobbe, tutta coinvolta nei disgustosi giochi dell’inganno, o come parte attiva o come controparte passiva. La madre lo rivestì di pelli animali perché il padre di lui, ormai totalmente cieco, palpandolo, potesse identificare in lui il fratello, al quale doveva concedere la benedizione paterna e l’eredità.
Ebbe un bel dire il padre Isacco che la pelle era la pelle di Esaù, ma che la voce era la voce di Giacobbe; finì che lo benedisse. Ma la storia di Giacobbe non finisce così, perché la vita (o la Provvidenza?) lo sottopose alla legge del contrappasso. L’arameo Làbano era anche lui un furbo e lo ripagò alla grande. quando Giacobbe, innamorato di Rachele, sua figlia: per averla come sposa promise a Làbano sette anni di lavoro, e come promesso, lavorò sette anni che «gli sembrarono pochi giorni, tanto era il suo amore per lei». Ma la figlia che Làbano gli fece entrare nella notte delle nozze non fu Rachele, bensì Lia, la sorella maggiore, che non piaceva a Giacobbe, per via degli occhi smorti. Questi scoprì la sostituzione di persona e aggredì il suocero gridandogli: «Perché mi hai ingannato?». La risposta fu: «Dalle nostre parti non si dà in sposa la figlia più piccola, prima della primogenita». Giacobbe ebbe due mogli invece che una, ma dovette lavorare altri sette anni per avere quella che amava.

Giuseppe De Carlo